Esistono e sono riconosciute, più o meno, da cinquemila anni o giù di lì. La loro longevità è garantita e non smetteranno di essere attuali per almeno altri cinquemila anni, forse anche di più. Si tratta infatti delle due scuse più famose ed utilizzate al mondo, indipendentemente dalla cultura, dall’appartenenza geografica o dalla religione.
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Noi stessi ne facciamo un grande uso, addirittura quotidiano, a ben pensarci, e, spesso, senza nemmeno rendercene più conto perchè sono talmente radicate nel nostro modo di fare, comunicare e agire, che è davvero difficile rinunciarci. Ma ancora più difficile è accorgerci che le stiamo utilizzando.
Sto parlando del re e della regina di tutte le scuse, le attenuanti e le giustificazioni che utilizziamo per procrastinare, rimandare, evitare, glissare e anche per giustificare in modo assolutamente realistico le nostre mancanze, inottemperanze o problemi di carattere lavorativo e personale. Ma anche quelli familiari, di salute e di realizzazione.
Sono loro, proprio loro: il tempo e il denaro.
Ma forse chiamarle scuse non è simpatico, sembrerebbe quasi che nasconda una sorta di atto d’accusa. Mettiamola così, allora: chiamiamole “ragioni”.
La scusa/ragione numero 1: il tempo
È un fatto. Se sei una persona che lavora a tempo pieno (lo dice la parola stessa) e magari hai anche dei figli, allora di tempo non ce n’è. Non esiste. Non ne abbiamo proprio.
È per questo che diciamo frasi del tipo: “non ho tempo di far niente” – “vorrei, ma non so proprio dove trovare il tempo” – “come ti invidio… vorrei avere anche io il tempo di farlo…”
Giusto?
Lo faccio anche io, un sacco di volte. Poi mi rendo conto di quello che sto dicendo e mi fermo.
Si, perché, in realtà quando rispondo che “non ho tempo”, sto dicendo una cosa specifica: non voglio trovare tempo per questa cosa. E non è giusto o sbagliato, è una scelta. Ma se io mi prendo la responsabilità di questa scelta tutto cambia.
Prova a seguirmi.
Se dico che “non ho tempo per fare una cosa” è come se fosse colpa di qualcosa o di qualcuno che il mio tempo è limitato. Addirittura potrebbe benissimo essere colpa del tempo stesso che non basta mai.
Se invece cambio l’approccio e mi dico la verità, allora forse scopro che non mi interessa affatto trovare del tempo per fare quella cosa o per occuparmi di me.
Ancora una volta non è né giusto né sbagliato. E non devo nemmeno giustificarmi, se non mi va. Magari uso/usiamo questa formula (“Non ho tempo”) per non essere sgarbati o per non ferire nessuno con un rifiuto troppo diretto. È comprensibile.
Ma quando ti rendi conto che cosa stai dicendo veramente è diverso.
Provaci: prova a notare cosa vorresti dire veramente quando rispondi o dici a te stesso che “non hai tempo”. È un esperimento interessante.
La scusa/ragione numero 2: il denaro
Questa è tosta.
Soprattutto per me, perché, davvero, faccio fatica a dire che sono disponibile a fare qualcosa se non ho personalmente il denaro necessario per farlo. E sottolineo “personalmente”, perchè la condizione essenziale è che ce li abbia io. Non mia moglie, non il mio migliore amico o il mio collega. Devo averli io. Altrimenti non se ne parla. È il mio retaggio paterno e siculo che emerge.
Ma questo è vero per un sacco di gente. E non è solo vero, è storicizzato, è una questione sociale che non possiamo trascurare.
A partire dal 2006 fino ad oggi, quando la crisi economica americana si è estesa a tutto il mondo, la capacità di spesa di ognuno di noi si è drammaticamente ridotta. In alcuni casi e per molte persone, sino alle soglie della povertà. Quindi c’è poco da ridere o da fare i super positivisti, perchè se non ci sono, non ci sono.
Siamo d’accordo, quindi: il denaro, o meglio, la mancanza di denaro non è prettamente una scusa. Corretto, fino a che questo non diventa il nostro limite autoimposto. Ovvero: siccome non possiedo denaro (per nulla, a sufficienza o in abbondanza) non faccio nulla per cambiare la situazione.
Ecco che il denaro o la sua assenza diventano la maschera che indossiamo per giustificare la nostra immobilità.
È un po’ come dire, passami la forzatura, che Alex Zanardi non può correre perché non ha le gambe.
È oggettivamente vero che Zanardi non le ha, ma questo non è stato un limite per lui. Poteva esserlo, eccome se poteva. Avrebbe avuto la comprensione di tutto il mondo per sentirsi fregato, impedito, tradito dalla vita, da Dio. Eppure quella mutilazione non lo ha fermato. La stessa cosa per Bebe Vio che, oltre alle gambe è stata privata anche delle braccia e quando aveva 11 anni.
E se questi ti sembrano esempi troppo distanti, di persone troppo “arrivate” considera che loro, per arrivare, hanno dovuto scavalcare muri molto più alti. E senza gli arti di cui, invece, siamo perfettamente dotati tu ed io.
Improvvisamente le scuse sembrano meno reali, vero?
Se ti sembra semplicistico allora voglio darti una soluzione concreta che mi ha passato uno dei miei maestri, tanto tempo fa, è una citazione che mi ricordo spesso quando sto per iniziare qualcosa di nuovo:
Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei.
Theodore Roosewelt
Anche quando ho iniziato a lavorare su questo sito mi sono detto la stessa cosa. Ho fatto mesi ad esitare perchè avrei dovuto comprare attrezzatura, software, spazio web e molti altri ammeniccoli tecnologici che costavano un sacco di soldi che non avevo. Fino a che mi sono detto che aspettare di avere tutto pronto sarebbe servito solo a non farmi partire mai.
Inizia con quello che hai e con quello che puoi, ma inizia. Questo è il mio motto.
Dalle scuse alla responsabilità in modo amorevole
Personalmente non credo che ci sia nulla di sbagliato nel crearsi delle scuse. Mi piace definire le scuse come dei piccoli scudi che tutti quanti noi utilizziamo per proteggerci da qualcosa. E la vulnerabilità non può mai essere qualcosa per cui sentirsi sbagliati. Quando ero più giovane, spavaldo e arrogante guardavo quasi con disprezzo chi si nascondeva dietro a scuse come tempo e denaro. Oggi capisco che ognuno di noi si porta dietro piccole o grandi ferite ancora esposte che vuole proteggere da ulteriore dolore. Allora ben vengano le scuse, accogliamole. Ma a una condizione: accettiamo il fatto che stiamo delegando il nostro potere, la nostra capacità di creare a qualcosa che non c’entra nulla con noi.
E la vulnerabilità non può mai essere qualcosa per cui sentirsi sbagliati #mindfulness Condividi il TweetPerchè, in realtà, noi possiamo, al di là del tempo o del denaro che c’è o non c’è (questo è un concetto sul quale sto lavorando da un bel po’). Noi possiamo accettare il fatto che ci facciamo scudo con qualcosa esercitando il nostro muscolo della consapevolezza e dicendoci: ora non mi sento, ora non mi va, ora non sono pronto, ora non voglio forzarmi, ora non voglio andare oltre. È il nostro diritto/dovere di esercitare amorevolezza, tolleranza nei nostri confronti e nei confronti delle nostre fragilità.
E va bene.
Fino a che anche questo non diventa una scusa.