Se vuoi ottenere risultati straordinari devi comportarti in modo straordinario. Se vuoi ottenere risultati fuori dalla media devi smettere di essere una persona nella media. Se vuoi il successo devi pensare come una persona di successo.
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In questi ultimi 25 anni ho seguito moltissime scuole di pensiero. Ce n’è di tutti i gusti. Da quelle orientalissime a quelle americanissime. Dagli sciamani al positivismo estremo, fino alle guarigioni esoteriche. Per tanti anni ho girato per mezzo mondo (nel vero senso della parola) alla ricerca di insegnamenti che mi facessero diventare “straordinario”, migliore di quello che ero, in qualche maniera “diverso”, meglio se straordinario.
L’obiettivo era sempre potenziare il mio lato migliore, le mie migliori qualità, quello che di bello c’era in me, andando a “guarire” ciò che stonava, che non era allineato con la migliore immagine di me stesso. Liberandomi di tutto quello che la società e la nostra cultura considera “un limite”.
Niente di male in tutto questo, ovviamente. Migliorarsi fa bene, giusto?
Parola d’ordine: Eccellere!
Una volta, uno dei miei insegnanti di counseling ha detto:
“bisogna imparare a dare spazio alle nostre nevrosi, alle nostre ansie, altrimenti impazziamo. Accettarle ci libera, negarle o reprimerle ci fa esplodere”.
Quella frase mi ha aperto un mondo. Ma, ci ritorniamo dopo.
Quello che ci sentiamo dire spesso, soprattutto in ambito lavorativo, è che bisogna, a tutti i costi, eccellere. Qualsiasi cosa fai, devi essere eccellente. Anche in casa, in famiglia, con gli amici. L’immagine che bisogna restituire è quella dell’eccellenza.
Non fraintendermi, non voglio dire che impegnarsi a fare le cose per bene sia sbagliato, tutt’altro; sono uno che detesta l’approssimazione, l’indolenza e i modi di fare che si riassumono nel “limitarsi a fare il compitino”. Credo che ognuno di noi possa fare sempre un passettino in più per fare ciò che fa meglio, anche in modi più creativi. Ma l’eccellenza a tutti i costi rischia di diventare un atteggiamento maniacale, patologico tanto quanto l’aziendalismo.
Eccellere, letteralmente, è un verbo intransitivo che significa:
“Essere superiore a tutti gli altri, distinguersi per doti o capacità straordinarie”.
In buona sostanza stiamo dicendo che eccellere non sta per “mi distinguo dagli altri perché faccio bene il mio lavoro o mi comporto secondo uno standard alto”, mi distinguo perché voglio superare gli altri, dimostrando loro che sono superiore grazie alle mie doti, al mio impegno, alle mie capacità o alle mie competenze.
Insomma, tutta questa storia dell’eccellenza rischia di diventare un elogio alla competizione fine alla soddisfazione di pochi, per il guadagno di pochissimi.
Il prezzo dell’eccellenza
Essere eccellenti, straordinari a tutti i costi non è mai esente da conseguenze. Il nostro motore interiore deve girare più veloce, deve essere più performante. Tu devi correre di più, devi arrivare prima, prima di tutti gli altri. Devi pensare fuori dagli schemi, devi essere più in forma, devi saper driblare gli avversari. Se vuoi prendere la montagna devi puntare alla luna, come diceva un proverbio indiano.
Questa fantomatica attitudine ci induce a pensare che o sei Tony Stark oppure non sei nessuno. In altre parole, rischiamo di perdere di vista qualcosa che abbiamo davanti al naso.
Come diceva Buddha:
Ti sto mostrando il fiume e tu continui a pregarmi perché ti dia un sorso d'acqua. #mindfulness #buddah #wakeup Condividi il TweetE se invece di essere straordinari fossimo semplici e normali?
Se la cura a tutta questa esaltazione dell’eccellenza fosse ritornare alle cose semplici e normali, ad una attitudine più rilassata e meno competitiva?
Mi chiedo ancora: se sostituissimo ad eccellenza i concetti di cura, attenzione e amore per ciò che facciamo?
Come sarebbe la nostra vita? Come sarebbe il nostro lavoro? E, non da ultimo, come sarebbe il mondo?
Si, perché, se invece di proteggerci dagli altri o combattere contro di loro (visto che tutti vogliono primeggiare, essere straordinari, eccellenti) facessimo della nostra unicità, della nostra cura, della nostra passione per ciò che facciamo la vera carta distintiva?
Se smettessimo di sgomitare con noi stessi e con gli altri per chi arriva per primo, per chi ha più adrenalina, più euforia e motivazione e iniziassimo ad essere semplicemente ciò che siamo, senza pretendere di diventare come qualcun altro?
Poco fa accennavo al mio insegnante di counseling che sosteneva che bisogna dare spazio alle proprie nevrosi se non vogliamo impazzire. Ecco: se non vogliamo scoppiare, alienarci e se vogliamo migliorare il mondo, forse, possiamo incominciare ad accettare che siamo ciò che siamo, speciali nella nostra unicità, incluse le nostre debolezze, incluse le nostre insofferenze, le nostre ansie e paure.
Perché c’è una grande differenza tra volersi cambiare ritenendo che ci sia qualcosa di sbagliato in noi che va corretto e crescere perché vogliamo viaggiare più leggeri.
E c’è una grossa differenza tra il voler essere a tutti i costi straordinari, perché ce lo impone una società ammalata di performance, e il vivere serenamente ciò che siamo abbracciando tutti i nostri talenti per ciò che sono.
Nel mio nuovo libro “Una Vita Meravigliosa con La Mindfulness“, parlo spesso di questo tema. Meditare, vivere in modo mindfulness, in definitiva, significa smettere di agire su di noi come se fossimo difettosi, come se dovessimo toglierci di dosso qualcosa che ci hanno detto essere sbagliato e incominciare ad accettarci amorevolmente così come siamo. E quando questa accettazione accade, magicamente, ti liberi di ciò che non ti serve.
Compresa l’idea che essere straordinari voglia dire essere migliore di ciò che sei.
